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mercoledì 26 giugno 2013

La macchina che svela i tumori

Un tubo lungo 30 centimetri che permette di scoprire i tumori non appena cominciano a formarsi. Una sonda elettromagnetica che vede qualsiasi infiammazione dei tessuti. Un esame che dura appena 2-3 minuti, non è invasivo, non provoca dolore o disagi al paziente, e fornisce immediatamente la risposta che si cerca. E soprattutto un test innocuo, ripetibile all’infinito. Senza contare che ha una precisione diagnostica come minimo del 70% ma, se eseguito da mani esperte, può arrivare anche al 100% di attendibilità. Uno strumento rivoluzionario insomma, poco ingombrante, portatile, che si può usare ovunque e che non necessita di mezzi di contrasto radioattivi, lastre fotografiche o altro materiale di consumo. Un’apparecchiatura che costa 43 mila euro più Iva, contro i 3-4 milioni di euro di una macchina per la risonanza magnetica, i 2 milioni di una Pet e il milione e mezzo di una Tac, tutte e tre con costi di gestione elevatissimi. Un macchinario inserito dal ministero della Salute nel repertorio dei dispositivi medici del Servizio sanitario nazionale ed è stato sperimentato nell’Istituto europeo di oncologia di Milano dal professor Umberto Veronesi con ottimi risultati. Eppure la Galileo Avionica, società del colosso Finmeccanica, non produce più il Trim Probe Spa. Il macchinario che attraverso le onde elettromagnetiche è in grado di scoprire i tumori soliti di dimensioni millimetriche è stato inventato negli anni ’90 da Clarbruno Vedruccio, 54 anni, laureato in fisica e in ingegneria elettronica negli Stati Uniti, già collaboratore dell’Istituto di fisica dell’atmosfera del Cnr a Bologna, docente di metodologia della ricerca all’Università di Urbino e alto ufficiale della Marina Militare italiana che nei tempi presenti avrebbe meritato i premi Nobel per la fisica e la medicina fusi insieme, se solo il mondo girasse per il verso giusto, e invece è costretto a prosciugare il conto in banca per tutelare la sua invenzione. Macchinario che però viene usato in Italia in solo 50 ospedali. Nonostante il suo esiguo costo.
macchina tumori
Ma qual è davvero il motivo perchè il Trim Probe, la macchina svela tumori, messa in commercio da una società del gruppo Finmeccanica non ha mai avuto successo e soprattutto non è più in produzione? Affaritaliani lo ha chiesto al padre del macchinario, Clarbruno Vedruccio. Professor Vedruccio, in che cosa consiste la macchina scopri tumori che ha inventato? “La macchina che è in commercio si chiama Trim Probe, è certificata e valutata scientificamente. E’ iscritta anche nel repertorio del Servizio Sanitario Nazionale. A Roma per fare gli esami con la mia invenzione si paga anche il ticket, in alcune regioni invece l’esame si fa privatamente”. Ma come funziona? “Io ho scoperto nel 1992 che esistono delle lunghezze d’onda particolari e sono assorbite in maniera selettiva dai tumori maligni, dagli adenomi e così via. Queste frequenze consentono di poter interrogare il tessuto su queste bande. E se il tessuto è affetto da questa patologia, il segnale trasmesso viene assorbito dal tessuto e con dei sistemi elettronici è possibile vederlo. Il sistema non è molto diverso dalle apparecchiature che vengono utilizzati per l’antitaccheggio nei negozi. I sistemi definiti Rsib o quelli che vengono messi al collare o vengono impiantati sotto pelle dei cani. Sono dei dispositivi detti risonatori passivi che interrogati con certe frequenze rispondono. La stessa cosa avviene con i tessuti oncologici che hanno caratteristiche elettriche particolari, note dagli anni ’20 alla scienza, e queste possono essere interrogate con un segnale di radio frequenza.L’apparecchiatura in questione, il bioscanner emette un segnale radio in grado di agganciarsi con queste patologie e quindi di sentirne la risposta selettiva”. Il professor UmbertoVeronesi ha annunciato di stare studiando la scatola magica contro il cancro. Secondo lei è ciò che serve alla ricerca? “Assolutamente no. Veronesi non ha inventato nulla. Sta parlando di un apparecchiatura che coinvolge l’impiego di tac, risonanze magnetiche ecografi. insomma una fusione di tutte queste. Ma sostanzialmente si tratta di un computer che acquisisce tutti i dati provenienti da questi esami e da cui si estrapola una diagnosi. Bisogna ricordarsi che questa è comunque allo studio e soprattutto che in passato oggetti simili non hanno dato i risultati sperati. La mia macchina invece è certificata. L’istituto di Veronesi (IEO n.d.r) ha lavorato a suo tempo con la mia invenzione, ci ha anche fatto un protocollo sulla diagnosi della mammella. Anzi. Nel 2000 sono stati i primi ad usarla…” E poi? “E poi, visto che era un protocollo sponsorizzato dalla Galileo Avionica, che in quel momento aveva la licenza tecnologica dell’invenzione, quando è finito hanno restituito la macchina. E basta…” Come mai?
cancro
“La Galileo avionica inizialmente, quando nel 2000 aveva la licenza di sfruttamento del mio brevetto ha iniziato dei protocolli con grandi ospedali per la validazione scientifica dalla macchina. Questi erano pagati dallo sponsor (l’Avionica) al centro di ricerca definendo un protocollo di sperimentazione che serve per accertare validità o no della macchina soprattutto nell’acquisizione di un determinato tipo di patologia. E questo è stato fatto…” Ma se la macchina è stata ritenuta idonea e certificata perché alla fine non viene più usata? “Perchè è un esame che costa poco, e quindi disturba degli interessi di molti. Così mi è stato detto. Basta considerare che la macchina era stata messa in commercio a 42mila euro mentre invece un macchinario costa dai 30mila fino ai 150mila euro. Oggetti che però non hanno a che fare uno con l’altro e che creano un giro d’affari e lavoro. Ad esempio se si fa un’ecografia, l’ecografo fa vedere un immagine ma ha bisogno di un ecografista esperto che riconosca la malattia. Sulla base di questa e delle immagini che riconosce come patologiche vede il nodulo e presumibilmente stabilisce una diagnosi. Ma solo grazie all’immagine. A questo punto bisogna fare una biopsia e caratterizzare la massa e il tessuto. Insomma c’è del lavoro da fare… Il bioscanner invece non mi fa vedere l’immagine del tessuto. Non serve a questo. Serve invece per andare sulla lesione e caratterizzarla in termini di infiammazione o tumore. Ma questo lo fa istantaneamente”. Ma con l’utilizzo del bioscanner si mandano in soffitta altri esami quindi? “No, non lo fa. Ed è quello che non si vuole capire. Il problema è che il sistema diagnostico, parlo della situazione attuale, è spartito tra le varie corporazioni che fabbricano il macchinario e non vogliono altri incomodi. Meglio seguire i vecchi protocolli piuttosto di qualcosa di nuovo. Che poi non è più nuovo perchè è una macchina utilizzata in più di 50 ospedali. Io sono piuttosto perplesso e amareggiato perchè la macchina è buona e certificata e soprattutto è sperimentata ci sono pubblicazioni scientifiche e non è una soluzione alternativa. Non è nociva e, anzi, può dare dei grossi aiuti per quanto riguarda il dirimere dei dubbi. Anche diagnostici”. Come ha scoperto questo macchinario? “Per caso. Stavo lavorando a un radar che sentisse la presenza delle persone su un territorio, in particolare su una scogliera, quando mi sono accorto che il tipo di radiazioni che usavo interagiva bene anche con i tessuti e ne vedeva le infiammazioni. Stavo studiando, negli anni ’90, per un applicazione militare”. E così è arrivato al Trim Probe. Ma ha mai ricevuto aiuti dallo Stato per la sua invenzione? “Aiuti dallo Stato? Assolutamente no. Ho fatto tutto di tasca mia e non è stato facile perchè i costi, soprattutto nella fase di ricerca sono stati alti. E poi quando ho dato la tecnologia nel 2000 è stato portato avanti l’industrializzazione della macchina e poi hanno sponsorizzato i protocolli di ricerca per la certificazione richiesta dal ministero. Fino a due anni fa, finchè la società di Finmeccanica è stata messa in liquidazione perché questo business non interessava al gruppo. E poi concretamente perchè venivano fate un sacco di pressioni per non fare adottare la macchina. Di ostacoli ce ne sono stati tantissimi per cui poi anche gli investitori hanno ceduto. Eppure la mia macchina si trova in Giappone, Brasile, Malesia, Turchia, Iran, Regno Unito, Francia, Belgio. Ma da quando la Galileo Avionica ha smesso di produrlo io mi ritrovo a pagare le spese per il mantenimento del brevetto internazionale dalla Cina al Sudafrica, dall’India al Canada. Si tratta di costi largamente superiori al mio stipendio”.

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